Ricorda l’Innominato dei Promessi Sposi. Quando morì ricevette dal suo parroco i sacramenti “sub conditione”.
Gabriele d’Annunzio si spense a Gardone il 1° marzo 1938 all’età di 74 anni nel suo “Vittoriale”. Su questo poeta si è parlato moltissimo, sulla sua Arte, sulle sue avventure amorose innumerevoli con la Duse, con la marchesa Alessandra di Rudinì Carlotti, per fare i nomi più importanti, sulla sua figura di soldato, spavalda e romantica, sulla sua solitudine, sul suo pessimismo. Sperperò in amori e capricci patrimoni interi, per ritirarsi infine, prigioniero volontario, in quell’incredibile eremo lontano da tutti e da tutto, dove scriveva: “io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio…non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e di trasfigurazione”, a Gardone Riviera, appunto, in una villa che ampliò con ogni sorta di eccentricità, il “ Vittoriale degli Italiani”, dove visse per 17 anni dal 1921 fino alla morte.
Al termine “invenzione” aveva dato un significato di neologismo, che per lui stava come scoperta, creazione di originalità, intuizione divina, interpretazione illuminata, autorivelazione mistica. Hanno senza dubbio questo significato le collocazioni scenografiche nelle stanze della villa, nei saloni, nei parchi, nei giardini, nelle fontanelle e laghetti, cimeli grandi e robe insignificanti, di sentore tronfio e paranoico: la prua dell’incrociatore Puglia, l’aereo con cui lui “poeta soldato” aveva sorvolato Vienna sganciando non bombe ma volantini tricolore. Il MAS della “beffa di Buccari”, l’elica dell’aereo di De Pinedo “Trasvolatore”.
Ogni ambiente della villa brulica di oggetti simbolici, cimeli, statue, calchi in gesso, quadri, tendaggi, tappeti, cuscini, ninnoli, accostati pesantemente (il solo bagno, piastrellato in blu e verde, contiene tuttora circa 2000 oggetti)…
La “grandezza” di Gabriele d’Annunzio lasciò un segno profondo in Italia e fuori. Poeta, drammaturgo, scrittore, usava una forma originale ed affascinante di espressione letteraria, con parole che sembravano nuove, sonore, musicali, sensuali: molte parole straordinarie, troppe.
Il contenuto non era profondo, frequentemente. Ma che incanto! Sì, certo. Questi versi che compose nella tarda maturità sono impressionanti: “La vita scorre senza mutamento/ Ha un solo volto: la malinconia/ Il pensiero ha per cima la follia/ e l’amore è legato al tradimento”.
Sono il segno della sua anima delusa di sé – prima di tutto – e degli altri. Per questo la vecchiaia era per lui “la turpe vecchiezza” e la aborriva come trionfo della Morte. In realtà gli mancava Qualcuno, e lo sentiva, non sostituibile con la gloria, con il paganesimo pratico, con lo spasimo dell’ ”Invenzione”, del superuomo, con il culto dell’eroico, del bello, dell’Arte e del senso. La vecchiaia, che per l’uomo è la stagione della vera conoscenza di sé, l’equilibrio sognato così tanto delle proprie facoltà, l’accettazione serena d’ogni esperienza passata e presente che si ricompone nell’armonia, nel sorriso (per chi è credente soprattutto nella speranza vivida di una vita felice prossima in Dio); per il D’Annunzio, ateo, la “vecchiezza” era l’irreversibile franamento della sua gloria, dei suoi ideali, del suo “divino eroe”, di sé nel buio, nel nulla.
Ho qui, tra le mani, un vecchio articolo di Domenico Agasso pubblicato su ”la nuova settimana INCOM illustrata”, n.22, 1960, che riporta un’intervista da lui fatta a don Giovanni Fava, arciprete di Gardone Riviera. Questi reggeva la parrocchia dal 1932 ed ebbe sei anni come “parrocchiano” Gabriele D’Annunzio, il quale gli scriveva spessissimo, inviandogli doni e offerte per i poveri. Durante il periodo pasquale il sacerdote era invitato ogni anno a benedire la dimora del Poeta, che poi ringraziava con lettere affettuose. Riferisce Mons. Fava nell’intervista: “D’Annunzio ed io siamo sempre andati d’accordo e la sera in cui morì, io gli amministrai sub conditione i Sacramenti. La morte, come tutti sanno, fu improvvisa. Quando arrivai al Vittoriale, trovai Gabriele D’Annunzio ancora caldo ed anzi gli presi il polso nella speranza di sentirlo ancora battere. Ma non batteva più. Gran peccatore, certo, ed io ho sempre pregato perché il Signore gli usasse misericordia. Però, a volte, nei nostri incontri, gli sentivo dire certe cose…Ed anche nelle sue lettere c’è sempre un qualche indizio che prova come egli non fosse indifferente verso le cose della religione. Ricorda l’Innominato dei Promessi Sposi che soffre vedendo i contadini festeggiare il Cardinal Federigo e vorrebbe avere anche lui la fede umile della donnetta? Ebbene, Gabriele D’ Annunzio, come l’ho conosciuto io, era un po’ così anche lui”.
Nell’articolo di Agasso sono riprodotti diversi fogli di queste lettere, piene di gentili espressioni, di citazioni, traboccanti di calore: “E’ il parrocchiano che ha scritto di più al suo parroco, interessandosi di tutto l’andamento parrocchiale ed offrendo denaro per i poveri”. Ecco alcuni stralci: “Ti offro per i tuoi poveri queste mille lire dolendomi di essere anch’io tanto povero e di non potere offrire di più; …Sono poverissimo. Oggi questi duemila franchi di diritti librari, che offro ai poveri della Parrocchia; …Oso offerire ai tuoi poveri questa piccola somma: mille; …Oso a voi candido inviare l’infantil simbolo pasquale (un enorme uovo di Pasqua contornato di dolci): e queste tremila lire pe’ Vostri poveri, per i nostri (ma la mia mano sinistra non sa quel che dona la mia destra) o Johannes, dulcis anima, vale”.
Se la Carità copre una moltitudine di peccati!… Se l’intercessione dei buoni il Padre la impiega per la conversione dei peccatori…! Gesù ha dato la sua vita per D’Annunzio, anche. Credo che fosse Guido Manacorda, amico del Poeta, che chiese una benedizione per lui al Papa Ratti: Pio XI gli rispose, invece: “Dite a Gabriele che preghiamo per lui ogni giorno”. La marchesa Alessandra di Rudinì Carlotti, corrosa dall’amore di e per D’Annunzio, rinacque al vero Amore in un monastero carmelitano francese: lì avrà pregato anche per convertire Gabriele, mentre si immolava a Gesù.
Caro Gabriele! Non hai fatto in tempo a leggere le parole di un altro Poeta, Giovanni Paolo II: “Se la vita è un pellegrinaggio verso la patria celeste, la vecchiaia è il tempo in cui più naturalmente si guarda alla soglia dell’eternità… da vivere in fiducioso abbandono nelle mani di Dio, Padre provvidente e misericordioso”. O Gabriele, la “vecchiezza” non è “turpe” e Dio è anche per te padre.