D’arduo legno scultore,
Guido,
sprigioni dai legami nascosti
tondi lucidi e lievi.
Il meccanico turbine sordo
del tornio
geme e bofonchia;
s’involve
in preghiera e lamento
alle carezze dello scalpello, e al taglio
mutilo della sgorbia;
trilla, balbetta, canzona.
Il legno si doma, ragiona,
assentisce, si china,
si schioma;
si sbriciola, cede
come una giovane donna
alle prime
proposte d’amore.
Sanguina
Senza sangue la forma
pulita e intaccata
e scinde il suo corpo dal velo,
adamantino come statua greca.
La vena
palpita e respira
la sua vita nuova,
come venere uscita
dalla conchiglia marina.
Guido,
tocchiamo
questo legno, creato
due volte.
E’ dolce più d’un amore pudico,
più sacro di un bacio alla guancia.
Passiamo la mano esitante
sul chiaro e l’oscuro
concrezionati.
Il legno è una vita
che guizza nel brivido
del tocco sensitivo
delle nostre mani.
Ci riconosce amici
e sorride;
con la bocca e lo sguardo
sorride;
e al nostro stupore gode.
O, che al divino ulivo,
Guido,
restauri il destino cristiano
in un nappo di pace;
e alla betulla nobile
e al serico cedro
e all’umana robinia
e al longobardo melo
maschio e corusco,
e ai legni delle foreste,
doni una palingenesi
di membro e di colore
che un tiranno nascose
invidioso,
e tu riscatti e esprimi:
e canti di uccelli
e sospirare di venti
e suoni armoniosi
della natura universa
e il Creatore artista
sentiam nei legni
insieme, Guido!
E ci guardiam felici
negli occhi.
Mortara, 1 gennaio 1974